Thursday, 15 April 2021 10:16

Dall'Aeroporto al Recovery Fund: Fiumicino, è l'ora della sveglia

Written by Rossella Angius
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Fiumicino, 76.167 residenti dall’ultimo rilevamento disponibile della popolazione, 31-8-2020. È sempre stata la mia Città, il luogo del quotidiano per gran parte del mio tempo. Un luogo dove mi piace vivere, dove le persone mi salutano per strada, dove incontro amici e non proprio amici, che mi fa comunque piacere incontrare. Un luogo che ho visto mutare, evolvere, crescere, modificarsi, tra alti e bassi, tra cose che mi piacciono ed altre che mi hanno fatto arrabbiare, a volte anche violentemente. È un po’ come quando ti incontra una zia anziana che non vedi da anni e ti dice “come sei cresciuta”.

A volte mentre giro per il mio territorio è quello che provo: “come sei cresciuta Fiumicino, sei cambiata, ma in fondo non così tanto che io non ti possa riconoscere”. Quello che è mancato, però, secondo me, in questi anni, soprattutto negli ultimi anni, che è la mancanza più grave nel mio sentire e vivere il territorio, è una idea chiara di cosa siamo e soprattutto di cosa vorremmo essere davvero. Il nostro recente Compleanno, 4 Aprile 1992 il distacco da Roma, l’anno prossimo saranno 30anni, ci dice che non siamo più adolescenti ed è ora che iniziamo a ragionare da adulti. Se la nostra Città fosse in altri luoghi, ambirebbe ad essere un Capoluogo. Ma qui, schiacciata tra Roma e il mare, tra la via Aurelia e il lago di Bracciano, tra la zona fieristica e l’Aeroporto, in una Regione pesantemente Roma-centrica, ancora fatichiamo a immaginare e a percepire la nostra identità. Ed è anche ‘colpa’ nostra secondo me.

Ci siamo accontentati di sopravvivere, di andare avanti. I primi anni abbiamo capito cosa volesse dire camminare con le nostre gambe, tra mille difficoltà operative, pratiche, una macchina comunale che si strutturava dal nulla, un bilancio importante difficile da gestire. Poi i primi 10 anni sono stati quelli dei grandi cambiamenti. Poi altri 10 per consolidare quei cambiamenti e farne una base solida per il futuro e poi? Ci siamo fermati. Bloccati. Presi dal quotidiano, dalle cose di tutti i giorni, dalla buca da sistemare, dal tombino, da ciò che serviva o ci faceva comodo oggi…senza visione, ad attendere cosa? Che qualcuno dall’esterno venisse a indicarci chi eravamo? O accucciati nel dormiente cantuccio di una periferia romana, rassegnata al suo ruolo di secondo piano. Non è così che vedo la mia città, è ora di andare oltre. Oggi la crisi mondiale, economica e sociale del post Covid-19, o forse di un mondo che dovrà obbligarsi a convivere con questa malattia per molti anni ancora e a ri-pensare la propria quotidianità, ci obbliga a immaginare nuovi percorsi di sviluppo per un territorio che sta soffrendo, ma anche a smettere di ignorare dinamiche che tutti conosciamo troppo bene per fingere di non vederle. Mi permetto di ricordarne alcune, solo per spunto di ragionamento, per come le vedo io, solo per aprire un dibattito, solo per farci reagire o forse arrabbiare!

L’aeroporto. Oggi l’allarme sui professionisti aeroportuali fermi da oltre un anno, senza prospettive di ripresa all’orizzonte non è un fulmine a ciel sereno, purtroppo. Perché c’è da ammetterlo, l’Aeroporto, purtroppo, rappresenta da anni, soprattutto per le giovani generazioni una trappola, che li costringe ad essere lavoratori precari a vita. Senza alcuna certezza dei propri diritti, con sempre meno sicurezza personale e con una professionalità che diviene inutile, non spendibile, nel ‘normale’ mercato del lavoro. Troppi ultra 50enni, ancora non pensionabili, sono fuoriusciti in questi anni da fallimenti di aziende connesse direttamente o indirettamente all’aeroporto e si sono ritrovati con in mano un pugno di mosche e la famiglia da far campare…..Questo è solo un esempio di una realtà che dobbiamo accettare se vogliamo andare oltre. Io amo l’aeroporto, in quanto luogo e non-luogo, coi suoi colori, il suo movimento, spioncino sul mondo in moto perpetuo. Può essere una esperienza incommensurabile per i giovani. Si. Può essere la nostra principale base di lavoro per il futuro? I fatti ci dicono, ormai da anni, di no.  Forse è meglio pensare all’Aeroporto come ‘porta’ di ingresso nel nostro territorio che come luogo per il futuro dei nostri giovani.

L’utilizzo dei Finanziamenti/Sportelli/incubatori di impresa, col supporto di attori privati/consulenti e di attori pubblici: siamo troppo indietro e non possiamo esserlo più. È urgente lo sviluppo di una connessione seria e strutturata con i sistemi progettuali e di finanziamento Regionali, Nazionali, Europei, anche in vista del Recovery Fund di cui tutti parlano ma che rischiamo di vedere ‘passare’ solo da lontano, senza che lasci nulla a sostegno delle nostre imprese e delle nostre realtà locali e territoriali.  

La pesca. Conservare il pescato e sviluppare nuove dinamiche di utilizzo del prodotto. Unire la pesca con la fruizione del nostro mare, con iniziative di pescaturismo, di mercato a km zero pulito e regolato. Svincolare i pescatori dall’incubo della stagionalità e della non continuità delle loro rendite, con sistemi nuovi, sviluppando anche una nuova filiera di conservazione del prodotto. Si potrebbe partire da quelle storiche come per esempio la salagione o l’affumicatura di prodotti di eccellenza, per arrivare alla moderna produzione di cibi pronti di 4* gamma, con materie prime fresche e di pregio come le nostre. Stringere alleanze più forti con gli utilizzatori locali, non solo ristoranti ma anche mense scolastiche o aziendali, per esempio, per ridare dignità, cultura e tradizione al consumo di pesce locale. 

L’Agricoltura e l’allevamento. Il versante del lago di Bracciano, le nostre zone confinanti hanno visto in questi ultimi 10 anni un incremento vertiginoso di produzioni biologiche e biodinamiche, che hanno ridato vita agli ecosistemi e valore economico alle produzioni e noi? I nostri contadini sono ancora ostaggio dei grossi produttori e distributori. Ed i piccoli fanno fatica ad emergere e sopravvivere. Serve una strategia di distretto, di rete che ci porti sui mercati a testa alta, con la dignità di una produzione che è eccellenza da secoli. L’idea di allevare al pascolo o allo stato brado in un’area che è quella della maremma laziale a tutti gli effetti. Di connettere eccellenze già presenti, come quelle degli animali da cortile, dei formaggi e delle carni, della produzione di miele di cui si trovano le tracce nelle ricette degli antichi romani. 

Il turismo esperienziale e di nuova concezione. Va completamente ripensata l’idea della fruizione turistica delle nostre aree. Che non può essere solo quella delle ville chiuse all’esterno, di chi poco o nulla vive la Città, né quella della domenica andata e ritorno dalla Capitale. Abbiamo luoghi e ricchezze che devono tramutarsi in percorsi esperienziali di nuova generazione, che devono includere il cibo, le nostre eccellenze, i prati e i boschi, ma anche dobbiamo pretendere di poter fruire le nostre risorse artistiche. È vergognoso annoverare tra le ricchezze archeologiche un Museo delle Navi da trent’anni in ristrutturazione, ad esempio.  

La cantieristica, in tutto il mondo sta virando verso l‘extralusso e l’high-tech. I nostri cantieri seppure eccellenze, con professionalità strepitose, non possono essere lasciati soli in un percorso di sfida ad un mercato in vorticosa evoluzione. Si parla di distretto della nautica regionale ormai da un decennio, ma si vede pochissimo, quasi nulla sul fronte del sostegno reale. Presenze ai grandi eventi, sostegno alle imprese per avvicinare buyer esteri e italiani, strategie di internazionalizzazione per attirare partecipazioni e investimenti ed anche qui, mettere in rete le eccellenze che possano essere di supporto e complemento. Alleggerire la burocrazia territoriale per realtà che a volte, faticano anche a riparare un pontile perché su aree demaniali o di golena. È impensabile che le nostre aziende, con tutta la loro genialità, possano competere sul mercato globale in queste condizioni. 

Imprenditori locali, investitori, cittadini, e aggiungo io, politici, svegliamoci! Non c’è più tempo! E se amiamo la nostra Città più che piangerci addosso, lamentarsi e guardare il nostro recinto è questo il momento, ora, per fare quel salto di qualità vitale, che porterà il nostro territorio davvero lontano, se lo vorremo. Ne sono certa ed è così che lo immagino.

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