Wednesday, 31 March 2021 17:03

“Donne, impegno professionale, impegno politico, potere, sarà mai una bella favola?”

Written by Rossella Angius
Rate this item
(0 votes)

Vorrei poter dire la mia sul mio territorio, sulla mia azienda o sul mio Paese, non perché sono una donna, ma perché mi si riconoscano capacità o competenze o impegno nel tessuto sociale e civile della mia città, del mio paese, del territorio, dell’Europa, perché ho approfondito, mi sono confrontata, ho lavorato. Vorrei poter dire la mia e vorrei che ciò che dico conti e sia ascoltato, non perché sono una donna ma nonostante io sia una donna. Purtroppo, è ancora così. In Italia, ancora oggi nel 2021, la dimensione della disuguaglianza tra maschi e femmine continua ad essere violentemente evidente da molti numeri. Per alcuni sociologi ed analisti questi dati potrebbero essere l’altra faccia della medaglia di femminicidi e violenze, con alla base lo stesso principio, la percezione di un disvalore dell’altro, di una sua inferiorità e non uguale dignità. Qualcosa si muove, è vero. Ma sta accadendo molto molto lentamente.

Migliorano un po’ i dati degli ultimi osservatori 2019/2020.  Iniziamo dal ‘top’ : settore privato, l'Italia delle grandi società quotate in Borsa ha fatto progressi rispetto alla parità di genere. Non è al primo posto della classifica dei 17 paesi europei ma, a sorpresa forse, la scopriamo ben al 6° posto della graduatoria del 2020, con un dato lievemente superiore alla media europea. La superano Norvegia, Francia, Gran Bretagna, Finlandia e Svezia, ma c'è in Europa chi fa decisamente peggio, e che forse non ci saremmo aspettati: Olanda, Belgio, Danimarca, Spagna e persino la Germania che occupa il 12° step. Fanalino di coda, la progressista Svizzera e la Polonia. L'Italia a confronto con le altre realtà sembra aver scalato qualche posizione, ma attenzione ‘il potere’, quello con la P maiuscola è ancora molto lontano. In Italia, infatti registriamo la seconda percentuale più alta in Europa quanto a presenze nei cda e nei consigli di sorveglianza (22%), raggiungiamo il 45 % di presenza femminile nei comitati di gestione e di controllo. Ma sulla leadership reale, decisionale? Fra tutti gruppi italiani quotati allo Stoxx Europe 600 c'è solo il 4% di donne Ceo, contro il 21% della Norvegia. E’ degli stessi giorni la notizia che vorrei ci facesse riflettere tutti e tutte: secondo Goldman Sachs, nel 2020, le aziende con più donne nei board hanno registrato una crescita media del prezzo delle azioni del 2,5% rispetto alle aziende “a prevalenza maschile”. Quindi non siamo così male…. I numeri vanno un po’ meglio se guardiamo le aziende di dimensioni minori. Le donne manager nelle aziende private sono sicuramente cresciute e oggi rappresentano il 18,3% del totale. A rivelarlo è il Rapporto Donne Manageritalia 2020. I dati assoluti sono ancora, a mio avviso, piuttosto sconfortanti, le manager di sesso femminile sono circa 22.000 su un totale di 115.000 dirigenti.

Riescono a fare peggio solo banche e aziende quotate, i dati recenti resi noti lo scorso marzo dall’Osservatorio interistituzionale cui partecipano Consob, Bankitalia nelle società quotate solo il 2% delle donne negli organi amministrativi ricopre il ruolo di amministratore delegato, e questa percentuale scende all’1% nelle banche.

Il disastro è peggiore, forse, solo nel mondo del lavoro. Già il rilevamento circa il Gender Equality Index effettuato nel 2019 dall’Istituto Europeo per l’uguaglianza di genere, riferiva in Italia come il dato del tasso di occupazione femminile fosse inferiore di 17,9punti percentuali di quello maschile. Quasi il 40% delle occupate risultano concentrate in tre settori: commercio, sanità e assistenza sociale, scuola. Il reddito medio è circa il 59,5% di quello degli uomini cioè oltre il 40% in meno di media, a fronte di  una scolarità media più alta per le donne. I dati più recenti raccolti in piena pandemia mostrano che divario e sofferenza stanno crescendo ancora di più a sfavore delle donne. Nell’emergenza cosa è successo alle donne? Donne protagoniste negli ospedali e in famiglia, in prima linea, in corsia e a casa a badare a figli e anziani. Ma non ci sono, o sono poco presenti nelle sedi in cui si decide. Erano state escluse, per esempio, dalle task force e dai vari organismi governativi, anche consultivi finché numerose parlamentari, giornaliste e cittadine hanno promosso una petizione, in seguito alla quale il precedente Presidente del Consiglio è dovuto correre ai ripari ed inserire ulteriori quattro donne nella task force e tre nel comitato tecnico-scientifico. Questo non ha purtroppo però potuto cambiare strutturalmente il dato fornito dal Ministero della Salute (dati gennaio 2020) che vede la rappresentanza femminile in corsia, in prima linea, del 67% contro il 33% di uomini e solo 3 donne su 10 occupare una posizione decisionale, apicale. 

Non è un caso se il superamento del gender gap è ben in cima tra gli obiettivi fondamentali posti dall’Europa nell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. Non è una concessione, questa, è la consapevolezza di un valore aggiunto che non si può continuare a ‘sprecare’. Già negli anni scorsi, tra il 2012 ed il 2013 diversi studi indipendenti avevano mostrato come i governi con ampia presenza femminile fossero meno inclini alla corruzione e a repressioni e violenze, o come in ambito aziendale le leadership femminili fossero quelle più inclusive e stimolanti, soprattutto per le categorie più fragili di lavoratori. E non è un caso se il divario uomini-donne che intride il tessuto sociale italiano sia lo stesso che ne contraddistingue la struttura politica. Così mentre si continua a navigare nell’incertezza tra quote rosa e meritocrazia, fra equità di opportunità e di trattamento e fieri rifiuti di trattamenti ‘di favore’, le donne, tutte, restano indietro.  Dopo le recenti polemiche sul numero delle ministre, leggiamo, a caso, direttamente dall’ultimo report ufficiale sulla partecipazione delle donne alla vita politica e istituzionale Dossier n° 104 del 1 marzo 2021: “I punteggi dell'Italia sono inferiori a quelli dell'UE in tutti i settori, ad eccezione di quello della salute. Le disuguaglianze di genere sono più marcate nei settori del potere (48,8 punti), del tempo (59,3 punti) e della conoscenza (61,9 punti). L'Italia ha il punteggio più basso di tutti gli Stati membri dell'UE nel settore del lavoro (63,3).” E ancora qualche altro dato significativo: “ Per quanto riguarda gli organi delle regioni, la presenza femminile nelle assemblee regionali italiane si attesta in media intorno al 21,9% a fronte della media registrata a livello UE, pari al 34,2%. Solo in una regione (Umbria) la carica di Presidente della regione è ricoperta da una donna” -  sarebbero state due con la compianta Iole Santelli, in Calabria.

“Le sindache sono, in tutti i comuni di Italia, 1.140 su 7.682, pari al 14,8% (la media UE è del 17,2%). Quanto ai vertici amministrativi della Presidenza del Consiglio e dei ministeri sono solo 10 le presenze femminili su 44, appena il 23%, mentre i dirigenti generali donne sono 132 su 370, il 36%. Spesso quando sono presenti dirigenti apicali donne, ricoprono il ruolo di vice oppure rivestono il ruolo di capi dipartimento del personale.”

In un racconto Buddista, contenuto nel Sutra del Loto (III sec. d.C.), la fanciulla drago Ryunio deve fingersi un uomo affinché le possa essere riconosciuta dall’assemblea dei saggi, tutti uomini, la possibilità della propria illuminazione. Così lei li ‘inganna’ , solo per un attimo prima di rivelarsi per  fargli superare i pregiudizi e solo al fine di dimostrare di essere perfettamente in grado, proprio come loro lo sono, di raggiungere ogni traguardo….Chissà per quanto tempo ancora, tutte noi, dovremmo continuare a fare come Ryunio per farci valere.

Read 566 times
Login to post comments